martedì 29 novembre 2016

Il saluto di Beppe per Iba


Oggi si sono svolti, a Sanremo, i funerali di Ibrahim Faye, che tutti conoscevano semplicemente come Iba.
Iba era musulmano come io sono cristiano, in una maniera non certamente integralista o fondamentalista, forse più per nascita e consuetudine sociale che per scelta ideologica o religiosa in senso stretto. Iba, come me, era fondamentalmente animista e panteista. Credeva cioè nell'unità della varietà delle forme viventi e delle energie che le fecondano e vivificano, il sole, l'acqua, la terra, l'aria. Gli elementi della sua arte, fatta di sabbia di quattro colori mischiati a formare un universo di luce e di armonia fissati in un attimo eterno su un semplice pannello di legno.
Lo conoscevo da poco più di un anno e ci siamo frequentati per un breve ma intenso periodo. Fu lui che mi lanciò una ciambella di salvataggio mentre stavo naufragando, là alla Pigna, il suo quartiere, il centro storico della sua Sanremo. Il mio entusiasmo naif condito di sano pragmatismo lombardo, era entrato in collisione con quel potere sotterraneo ma terribile che vi aleggia, forse la versione moderna dell'equilibrio statico che tiene insieme da mille anni quelle possenti mura e quel coacervo di tane, di cantine, di segreti. Io riconobbi in lui un uomo libero, ma libero veramente, un uomo che aveva il potere che dona la libertà, quello di stare bene ovunque, di amare tutti e da tutti essere amato. E anche il potere di perdonare, di chiudere un occhio, di vedere il lato positivo delle cose e delle persone. Ci volle poco per dichiararsi fratelli l'un l'altro. Ero io il malato allora. Ero io che venivo chiamato "uno che ha sconfitto il cancro", lasciandoci un pezzo del mio corpo, un polmone, e come non bastasse, ero in lotta contro un virus che mi stava mangiando il fegato. Mentre lui era l'immagine della forza e della salute, alto, atletico, forte nel fisico e nella mente, e tale forza mi infuse e mi aiutò enormemente per superare quel momento.
Poi decisi di lasciare la Pigna a se stessa, una situazione che va aldilà della mia capacità di comprensione e che non giova al mantenimento di quel minimo di fiducia nel genere umano necessario per vivere bene. Finchè non mi giunse la ferale notizia della sua malattia. Avendo già percorso quel cammino compresi subito che la situazione era disperata, ma la sua forza, la sua tranquillità, il suo coraggio, la sua cieca fede nel futuro mi facevano sperare e credere nel miracolo.
Ora io sono guarito e il suo corpo invece è morto. I "fratelli musulmani" hanno vigilato affinchè la sepoltura avvenisse secondo i canoni della loro religione, in una buca, senza ornamenti, senza cerimonie, senza orpelli, senza corteo funebre, senza discorsi o epitaffi. Uniche concessioni alla parte italiana di Iba, la presenza delle donne (praticamente nessuna non bianca) in una cerimonia riservata nell'islam ai soli uomini, una piccola foto su una pezzo di legno per lapide, e il permesso, alla fine della breve cerimonia, di depositare qualche fiore colorato sul mucchietto di terra.
Ma noi che eravamo suoi fratelli o sorelle non abbiamo avuto alcuna difficoltà a sintonizzarci con lui, lui c'era per tutti e per ciascuno, e a tutti coloro che lo hanno cercato nel raccoglimento ha promesso di continuare a fare il possibile per aiutarci a farci vivere in pace e nel bene. Grande Iba.

Giuseppe Uglietti

Iba Faye a Vallebona all'Ape in fiore



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